martedì 16 settembre 2014

AVVISO!!!! Cambio di indirizzo per il blog

Da qualche tempo questo blog sta vivendo su due piattaforme parallele, con gli stessi argomenti e con gli stessi post. Ho scelto questa cosa per poter meglio valutare quale fra blogspot o wordpress mi fosse più congeniale. Dopo lunga valutazione, mi sono resa conto che mi è più comodo wordpress, anche se non saprei dire come e perché in realtà: forse ci ho preso solo meglio la mano.
Pian pianino sposterò tutti i commenti per non perdere le vostre parole e li posterò sotto i rispettivi post, quindi mi ci vorrà un po'.
Nel frattempo se volete seguirmi ancora questo è il nuovo indirizzo:
http://untheconleparche.wordpress.com/

Appena avrò concluso le operazioni di salvataggio del blog e dei vostri commenti, attuerò un'indirizzamento al nuovo indirizzo e non avrete più problemi.
Vi ringrazio per l'attenzione e mi scuso per il disagio.

E per non lasciarvi senza lettura, vi metto il link al nuovo post che ho appena scritto:
http://untheconleparche.wordpress.com/2014/09/16/cosciali-da-combattimento/

Link del post con la mia intervista:
http://untheconleparche.wordpress.com/2014/09/18/anna-attiliani-e-il-suo-progetto-campfire-chats/

Buona lettura e buon divertimento!
Sara
Un the con le Parche

giovedì 11 settembre 2014

Santo Buddha e il Battistero di Parma

Ci sono cose che dai per scontate perché ce le hai sotto mano e ci sono cose che si scoprono e si comprendono anche solo con un là trovato su una rivista. Ecco quello che mi è capitato leggendo un articolo di "Medioevo" del 2013: in una lunetta del Battistero di Parma c'è narrata una parabola tratta dalla storia di "Barlaam e Josaphat" che altri non è che la storia cristianizzata del Buddha. Come è strano il medioevo eh?
Perché il medioevo tanto vituperato non solo non è buio e grigio, ma non è nemmeno statico. Viaggiavano i mercanti, viaggiavano i marinai, viaggiavano i pellegrini, viaggiavano gli ambasciatori, viaggiavano le principesse mandate in sposa a signori lontani, viaggiavano i soldati, viaggiavano i maestri e gli studiosi, ma soprattutto viaggiavano i monaci. E ovunque andassero queste persone raccontavano storie, interagivano con gli altri, ascoltavano gli altri, portavano a casa storie che facevano loro. L'apporto a questo meccanismo è dovuto soprattutto ai monaci che in un modo o nell'altro hanno copiato, ricopiato e tramandato tutto quello che passava sotto le loro mani con l'unico "difetto" di cristianizzare il tutto. I monaci cristianizzavano miti e divinità positive altrui perché in esse, dicevano, si vedeva la mano, lo spirito e la volontà di Dio. Non è proprio un'appropriazione, ma piuttosto la vera essenza del medioevo che è sempre e costantemente permeato di Dio, per cui solo in casi estremi non si riconosce che Dio può essere ovunque e che non esiste popolo (anche il più strano) che non possa essere raggiunto dalla sua misericordia.
Questo modo poi di "tradurre" la mitologia altrui ha permesso non solo di venire a conoscenza di altre religioni e dei meccanismi di contatto fra i cristiani occidentali e non e gli estremi del mondo, ma permette ai filologi di poter ricostruire la base storica reale e poter permettere ad antropologi e rievocatori (perché no) un miglior studio: basta togliere la copertura.
Ma andiamo nello specifico. E scusate se vado a parlarvi della cosa in sintesi, ma se no, come ho potuto notare iniziando a cercare informazioni sulla cosa, ci scappa una tesi.
La leggenda o il racconto di Barlaam e Josaphat (da ora in poi B&J) arriva a Bisanzio attraverso i contatti con l'islam islamitico che aveva a suo tempo trasformato Buddha in un mistico mussulmano. Qui la storia arriva e si fa così interessante che nel X secolo il monaco georgiano Giovanni e suo figlio Eutimio ottenendo dall'imperatrice Teofano di poter istituire un monastero sul monte Athos iniziano a rielaborare questa storia e soprattutto a metterla per iscritto. Dalle loro mani esce il testo fondamentale per la nostra vicenda: il "Balavariani". Questo testo sarà il libro cerniera per i racconti che arrivavano dall'oriente attraverso la doppia via bizantina e araba e poi si diffonderanno in modo inimmaginabile per tutta Europa diventando davvero la fonte di tantissimi racconti del medioevo cortese.
il mondo è piccolo a volte
il mondo è piccolo a volte
Ci sono traduzioni in tutte le lingue attraverso le linee di contatto (greco → slavo ecclesiastico → russo e serbo; greco → est del mondo; greco → occitano, oil, medio-alto tedesco, inglese, spagnolo, boemo, polacco); continuando a riproporsi nel secoli dal X secolo fino al 1800, trovando echi fino al "Siddharta" di H. Hesse.
In Italia più e più volte è stato riprodotto:
  • cappella di Sant'Isidoro nella basilica di San Marco a Venezia
  • rilievo della cattedrale del duomo di Ferrara
  • affreschi dell'abbazia delle Tre Fontane a Roma
  • affreschi di Palazzo Corboli ad Asciano
  • mosaico della cattedrale di Otranto
  • lunetta del Battistero di Parma
Nel medioevo è tale la fama di questo giovane santo, tale il suo esempio che non ci si pone alcun dubbio e viene inserito nel novero dei santi della "Legenda Aurea" di J. da Varrazze. Ma il medioevo è anche questo, coi suoi santi popolari, acclamati e mai visti, la cui presenza fisica alla fine non è così importante basta avere una reliquia che ne attesti la presenza. E alla fine non hanno tutti i torti, lasciando perdere il discorso economico e di prestigio e basandoci solo sull'umanità, in un'epoca in cui le comunicazioni erano lunghe; i papi cambiavano e tu che magari abitavi a 1000 km non sapevi nemmeno che faccia avesse se non per volere di un pittore che te ne riportava le fattezze; in cui gli echi di vittorie arrivavano quando oramai non si avevano più praticamente gli esiti; in cui si facevano a piedi o a cavallo non più di 30 km al giorno o giù di lì; insomma dove internet e la tv non esistevano come si poteva stare a controllare tutto e subito? Va bene così, gli effetti del credere non portarono solo guerre ed eresie, ma anche ricchezza e monumenti meravigliosi.
Cosa parla la storia? Di un giovane principe che per volere paterno, a seguito di una profezia negativa, è costretto a vivere rinchiuso in una torre allietato solo da persone giovani e sane in modo che il suo cuore e la sua mente non possano mai vedere la corruzione della malattia e della vecchiaia. Ma soprattutto non gli è permesso conoscere i cristiani che vivono nel suo regno. Il re può tutto, ma diciamo che Dio può qualcosa di più e il giovane Josaphat viene a conoscenza dell'eremita cristiano Barlaam e non solo scopre cose che gli erano precluse e che faranno di lui un misericordioso, ma si converte e sceglie di abbandonare tutti i lussi, difendere i cristiani e vivere come un eremita. Ovviamente il contrasto col padre è duro e drammatico, fino a quando il buon cuore del giovane riesce a portare a Cristo tutti quegli che gli sono vicini, padre compreso. 
Ma arriviamo a Parma. O meglio è probabile che ci arrivasse una serie di operai di origine serba a seguito della scuola bizantina di Costantinopoli che nel XIII secolo lavorò all'abbellimento del monumento. Questo si ipotizza studiando in modo analitico tutte le varie scuole che si avvicendarono nel XIII per la conclusione dell'opera e di cui non mi dilungo perché è davvero troppo dettagliato.
Lato meridionale
Lato meridionale
Cosa viene rappresentato?
lunetta meridionale
lunetta meridionale
Un ragazzo arrampicato su albero frondoso e ricolmo di frutti è intento a mangiare miele, incurante del fatto che ai suoi piedi un enorme drago gli sputi addosso fuoco e due roditori rosicchino le radici dell'albero. Ai lati i due carri del sole e della luna trainati da cavalli e da buoi compiono il loro rispettivo tragitto proprio correndo contro l'albero. 
il sole
il sole
la luna
la luna
il fanciullo e il favo di miele
il fanciullo e il favo di miele
il drago e i due roditori
il drago e i due roditori
Questo è il quarto apologo del B&J che l'eremita racconta al giovane per mostrargli le vanità del mondo. Nel testo originale è leggermente modificato: un uomo caduto in un abisso fuggendo dall'unicorno, si aggrappa a un arbusto, mentre due topi (uno bianco e uno nero) ne rosicchiano le radici, e un drago e quattro serpenti lo attendono nel fondo dell'abisso. L'uomo distratto da una goccia di miele dimentica tutti i pericoli. 
La versione parmigiana è semplificata, ma mantiene tutti gli elementi che fanno capire al suo osservatore il senso dell' exemplum: le lusinghe del mondo distraggono l'uomo dall'avvicinarsi della morte e dei pericoli che lo circondano. Se pensiamo che è posizionato su una lunetta di uno dei due ingressi del battistero, possiamo ben capire il messaggio che si voleva non tanto dare al battenzando, ma a coloro che battezzati lo erano già, ma troppo distratti dal ricordarsi il messaggio cristiano.
Ancora una volta un monumento parla non a un singolo, ma a un'intera comunità ricordando in modo chiaro e facile (per loro, meno per noi) come ci si dovesse comportare. Ancora una volta il medioevo appare così semplicemente complesso, raccontando su un punto piccolissimo di un edificio a migliaia di chilometri di distanza la storia stravolta, rivista e rivisitata ben due volte da due religioni, del Buddha indiano e della sua straordinarietà spirituale. Per chiunque volesse continuare a pensare che il medievale era un uomo chiuso nel suo mondo, chiuso alle storie altrui e ignorante, si rilegga questa vicenda e verrà smentito.
I libri che ho usato per questo breve post sono
  • "Storia di Barlaam e Iosafat" di Cesaretti e Ronchey
  • "Il Battistero di Parma. Iconografia Iconologia Fonti Letterarie" a cura di Giorgio Schianchi
  • "Medioevo" dicembre 2013 

lunedì 21 luglio 2014

Laboratori, bambini e Storia: ce la possiamo fare!

Il lunedì mattina dopo una rievocazione col "Vicus Italicus" mi lascia molto spesso basita. Prima di tutto perché quando sono in rievocazione con loro fare l'ultima ruota del carro è quello che faccio fatica a fare, ma sono bravissima a delegare a chi di dovere tutte le beghe (sì, lo so, Cinzia tu mi odi). Ma fare l'ultima ruota del carro vuol dire anche dover tappare tutti i buchi, dare spazio agli altri, fare una buona spalla per chi serve: col cavolo che mi riposo io! In più sento la mancanza di fare la battagliola, di darmi due legnate ben date, tornare al campo con la risata facile e poi iniziare a contare i lividi coi tuoi compagni d'arme. Nel "Vicus" mi occupo di schiavitù e basta. O meglio...e tutto!
Ho scelto io l'argomento, forse provocatoriamente, perché alla fine l'antica Roma con tutta sta perfezione in realtà non mi piace, non mi è mai piaciuta e non mi piacerà mai. Roma, come tutta la Storia passata, ha splendore e meschinità ed è ora che qualcuno faccia vedere anche il secondo aspetto. Come fare laboratori didattici sulla schiavitù? Ci abbiamo pensato per almeno un anno e alla fine a questo giro (dopo aver provato la versione spettacolarizzata coi rievocatori e il mercato degli schiavi), abbiamo preso la palla al balzo e a "Massaciuccoli Romana" ci siamo buttati...o meglio...mi hanno buttato nella mischia. Mica ero pronta, io.
A questo punto potrei aprire la mia coda di pavone e dire che i miei 12 anni di rievocazione, i miei 24 anni di gioco di ruolo (da tavolo e dal vivo), qualche esperienza di teatro, aver lavorato coi bambini per qualche anno e tanta incoscienza mi ha permesso di sfangarla e di riuscire a creare due moduli di laboratorio completamente differenti per grandi e piccini e cercare loro di far capire cosa potesse essere uno schiavo.
Ovviamente se la versione per i grandi è praticamente sulle mie spalle e sul buon cuore di tutti i rievocatori presenti nell'evento (in quanto rappresentano le figure che noi non abbiamo nel Vicus), nella versione per i piccini devo ringraziare pubblicamente tutto il gruppo, ma in particolar modo Kebenna (ovvero Marilena) che con la sua genuinità, gentilezza e il fatto che è maestra e sa come trattare i piccoli mi ha dato la possibilità di inscenare per 3 ore alla domenica una piccola sequenza "mercato degli schiavi-lavoro sotto padrone-manomissione". Tutto improvvisato, anche il coinvolgere gli altri del gruppo a rappresentare le altre figure del mondo romano (bella la faccia di Daniele quando gli ho stravolto i programmi e trasformato in "magistrato" :D ) dove i piccoli schiavi dovevano destreggiarsi fa le compere dall'ornatrix ("l'unguento di velluto di bellezza!" XD ), il magister scolarum e l'armeria, cercando di rendere contenta la padrona, fra un massaggino e l'altro. Alla fine non so se si sono più divertiti i piccoli aggrappati al cestino, i loro genitori a vederli affrontare questi piccoli compiti, o noi che sapevamo quanto tutto era fatto sul momento e grazie alla nostra bravura (quando c'è vò, c'è vò!).
L'atmosfera era positiva e propositiva, stimolante e alla fine stancante, perché invece di fare solo 20 bambini in 1 ora, me ne sono passati sotto le mani non so quanti per non so quanto tempo. Alla fine ero distrutta e avrei voluto farmi comprare da qualche altro gruppo e fuggire!
foto di Emanuele Bonelli
foto di Emanuele Bonelli
Mi spiace non aver potuto fare più esperienze coi grandi (solo un ragazzo a questo giro) sulla schiavitù, perché i ragazzi delle medie sono più stimolanti e coinvolgere anche gli altri gruppi fa un po' parte della nostra filosofia di gruppo: fare circuito, andare oltre alle differenze di scelta rievocativa, appianare qualsiasi inutile astio. Collaborare di più fra noi deve essere un impegno per tutti i rievocatori. Ringrazio il gruppo di "Colonia Iulia Fanestris" (grazie Monia) per aver "prestato" la matrona, il soldato romano e un gladiatore, e il gruppo "Touta Taurini" per un uomo e una donna celtica liberi.
Alla fine della fola, la mia personale riflessione è:
- far capire agli organizzatori che noi facciamo didattica e non baby parking (ma è un discorso generale e non di questo evento);
- far capire ai genitori che devono rimanere presenti ai laboratori perché noi non siamo un baby parking, ma soprattutto perché il laboratorio è un'esperienza che coinvolge tutta la famiglia lasciando loro un buon ricordo (grande il papà che ha passato sottobanco alla figlia "schiava" i soldi per fare la spesa!) e magari stimolandoli a studiare a casa quello che hanno visto con noi;
- far capire a tutti che per fare Storia non bisogna essere un libro di testo e prepararli a una tesina universitaria, ma con la Storia si può ridere, scherzare e divertirsi senza mai dimenticare di dare nozioni corrette e precise sin da subito, perché i bambini sono piante che devono crescere e se gli dai buona acqua verranno su sani e forti, se gli dai cattiva acqua perché "tanto sono bambini" o "cosa vuoi che capiscano" tu sai responsabile della loro ignoranza;
- fare laboratori è stancante più di fare una battaglia quattrocentesca sotto il caldo, ma altrettanto stimolante. Mi rendo conto che non posso dare quanto nel medievale (anche per passione), ma tutto ciò arricchisce me, la mia esperienza da rievocatrice, il mio bagaglio culturale e mi stimola solo a vedere dove posso andare e cosa posso fare di più.

venerdì 13 giugno 2014

"Vikings" un altro telefilm non storico

Non amo guardare i telefilm via pc e non sono nemmeno fanatica nel cercarli sulla tv dovendo fare a botte col telecomando col resto della mia famiglia, quindi quando "History Channel" ha trasmesso questo serial io me lo sono persa, mentre tutti i miei contatti fb che lo stavano guardando lo recensivano entusiasti. Così quando rai 4 a fine maggio ha deciso di trasmetterlo in una giornata super comoda per me mi sono messa a guardare le prime puntate.
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La prima scena mi aveva rapito perché veniva rappresentato l'arrivo delle valkirie a prendere lo spirito di un eroe. Mi sono detta: "bello! Non è realistico, ma è veritiero perché questo era quello che speravano e pensavano." Non mi importava che fosse un documentario, mi interessava che quello che veniva espresso fosse coerente. Alla fine della puntata purtroppo ho pensato che fosse un buon fantasy in salsa vichingheggiante. Una delusione, quindi.
Chi ha già letto qualche mia recensione su film o libri storici sa che purtroppo la mia deformazione professionale mi spinge a volere che abiti, estetica e oggettistica varia sia il più attinente possibile all'epoca narrata. Posso capire che è una cosa per perfezionisti, ma visto che la documentazione e lo studio sono più alla portata di mano di tutti mi chiedo che problema ci sia a vestire gli attori in modo consono. Non parliamo di teatro dove la lontananza palco-pubblico crea ovviamente dei problemi di interpretazione, parliamo di cinema: oramai ci fanno vedere anche i pori del naso degli attori!
Anche la scenografia può essere tranquillamente ricostruito in base ai reperti senza per forza dover inventare troppe cose, ma alla fine credo che ai produttori di certi film interessi veramente zero collaborare con archeologi, storici o ricostruttori. Forse rompiamo troppo le scatole? Può essere, ma questo denota che non si ha voglia di fare un prodotto credibile con una buona storia come sceneggiatura. Pazienza.
Torniamo alla storia del telefilm. O meglio no, perché ieri veniva trasmessa la terza puntata e dopo 15 minuti di cose assurde ho deciso di fare altro. Premettendo che non sono una conoscitrice della cultura e storia vichinga nei minimi particolari, quello che a pelle mi ha infastidito è che una popolazione che oggettivamente ha dimostrato di avere cultura, ingegno, spirito di avventura, sistema sociale complesso e una religione tutt'altro che semplicistica fosse rappresentata come un branco di cagnacci pronti ad accoppiarsi con tutto e tutti, senza morale, senza sentimento religioso o superstizioso (tipico di qualsiasi cultura), senza artigiani e botteghe che avessero questo nome.
Non voglio rappresentare gli uomini del nord come gentiluomini pronti a disquisire di antropologia filosofica o di quantistica, perché le cronache angle e irlandesi dimostrano la ferocia con cui attaccavano e depredavano e distruggevano soprattutto i monasteri. Non voglio nemmeno pensare che un qualsiasi paesino della Norvegia possa avere un'urbanistica simile a quella di Roma. Non voglio nemmeno minimizzare che nella società i conflitti sociali e di classe potessero essere all'ordine del giorno. Ma non posso accettare che questi girino vestiti come degli hipster coi capelli rasati alla moda, le sopracciglia fatte, vivendo in catapecchie quasi insieme ai loro animali, con costruttori di barche che vivono in mezzo alla boscaglia come dei folli, con i gioielli che "nascono dagli alberi" perché un orafo come si deve manco esiste! In "Vikings" i nostri eroi sono vestiti di pelle e con grandi pelliccioni aperti che fanno molto glam; non hanno una struttura precisa del clan, ma solo al massimo di fratelli (e forse solo di latte/sangue, eliminando tutto il concetto antico dei fratelli germani); senza problemi offrono le loro mogli agli accoppiamenti con altri uomini (e ciò è accettabile solo per mettere alla luce un complotto, ma non per la lussuria); non conoscono l'esistenza di terre all'est e l'invenzione della bussola casca dal cielo non si sa per quale motivo; il loro conte (ma veramente? Non esistevano le contee in quelle zone da quanto so, forse qui pecca di pessima traduzione) è un piccolo duce che vuole tutto per sè, decide tutto lui, sbeffeggia tutti e tiranneggia perché così gli piace.
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Mentre lo guardavo il paragone con "Il tredicesimo guerriero" (http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=29462) è stato continuo, ma impari. Per quanto anche il film non si possa considerare un documentario oppure un'opera precisa, quello che colpisce quasi tutti i rievocatori è la sensazione di credibilità di quello narrato. Vi è la religiosità, la capacità di comunicazione anche in altre lingue (bellissima la scena del vichingo e dell'arabo che parlano in latino per comprendersi), la superstizione, l'ingegneria, la voglia di esplorare il mare e di sfidarlo nello stesso tempo, la guerra e la sua arte, la protezione del clan e anche l'essere sbruffoni (non so se lo erano davvero, ma noi tutti ce lo aspettiamo).
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Nemmeno il paragone con "Vichinghi" (http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=27556) con Kirk Douglas e Tony Curtis regge, perché anche quel film, con tutti gli errori di una sceneggiatura meno accurata, ha tutta un'altra credibilità nel descrivere soprattutto la società e i rapporti sociali fra gli uomini e la legge.
Non essendo riuscita a scindere nella mia testa il fatto che non sia un'opera con almeno vaghi intenti storici, non riuscendo a prenderlo nemmeno per un fantasy (allora mi guardo con più gusto "Games of Thrones"), credo che dalla prossima settimana mi guarderò dell'altro o farò dell'altro, perché non ne vale la pena vedere uno spreco di potenzialità sfruttate per fare il solito glam-provocatorio-ammiccante-più o meno violento telefilm buono per gli ormoni degli spettatori e basta.

giovedì 17 aprile 2014

Il corpo dei rievocatori

Altro post provocatorio, mentre sto preparando uno di storia vera. Abbiate pazienza.
Non voglio avere ragione in assoluto, ma voglio solo stimolarvi a un ragionamento che siate voi pubblico oppure organizzatore di eventi oppure altro rievocatore deve avervi sfiorato prima o poi e magari vi ha messo anche in discussione.
Il rievocatore è o ha un corpo. A me viene da pensare che sia un corpo e qui sta il problema, perché il corpo di un rievocatore è il corpo di un uomo e di una donna nati almeno dopo la metà del 1900 e quindi è un corpo ben diverso da quello dei suoi avi: è più alto, più forte, più sano, meno abituato a certe fatiche. Controsensi, ma reali. Quindi se rievoca un uomo o una donna nati ben prima del 1800 sarà di suo un controsenso storico, un non filologico. Pazienza voi direte...forse dico io.
i napoleonici
i napoleonici
Il rievocatore è un corpo in quanto sul suo corpo segna la sua vita fatta di emozioni, ricordi, passioni, dolori. E' un corpo che si riempe di cicatrici vere nate magari da sport altri oppure dalle malattie e queste cicatrici non si possono cancellare mettendo un abito di foggia antica: queste cicatrici sono il marchio della sua vita e come tali vanno rispettate. E' un corpo che è arrivato alla rievocazione facendo un suo percorso personale, magari dopo essere passato attraverso altre passioni e quindi magari ha segnato con un tatuaggio un certo passato. E' un corpo che condivide con altre passioni e quindi non potendo scindersi, mostra a tutti quanto egli come individuo sia poliedrico, particolare, unico. E' un corpo che lavora e quindi, magari sì, vorrebbe avere il taglio storico, i baffi storici, ma non può farlo perché il suo capo ufficio o i suoi clienti non capirebbero e poi come potrebbe pagare le bollette? E' un corpo che vuole cambiare, che vuole esprimersi e allora barba, baffi, pettinature, colori sono il modo in cui racconta agli altri chi è perché la vita del rievocatore è dal lunedì alla domenica e dalla domenica al lunedì qualunque cosa faccia. E' un corpo che prende medicine, che magari non può portare le lenti a contatto, che si rompe e quindi via di gesso, tutte cose che i suoi avi non hanno avuto.
Ma è anche un mezzo per far trasmettere al pubblico la sensazione di avere una macchina del tempo e quindi deve avere rispetto del personaggio che fa vivere. Gli eccessi del corpo, della propria individualità vanno sopiti per due giorni, cercati di storicizzare, arrivare al compromesso.
i medievali
i medievali
Quindi?
Quindi bisognerebbe incontrarsi a metà e capirsi negli occhi e vedersi per quello che si è. Perché il rievocatore non è un manichino che può trasformarsi a piacimento proprio o altrui, dimenticare i segni che si porta addosso, manipolarsi per il volere altrui ed essere davvero un uomo o una donna del periodo X; non può essere una tela bianca su cui altri possano scrivere la storia come la vedono; non può nemmeno essere un provocatore e urlare a tutti con il suo corpo "me ne frego di voi, dei vostri pregiudizi e delle vostre visioni, io sono così". Bisognerebbe arrivare al giusto mezzo, capendo che
- gli occhiali non sono un vezzo ma il modo per comunicare col mondo, a volte un presidio medico, e quindi meglio un rievocatore con gli occhiali che comunica che un rievocatore senza che sbatte contro tutto e tutti. Ovviamente gli occhiali non devono essere alla Elton John.
la didattica fatta seriamente
la didattica fatta seriamente anche con un paio di occhiali
- che i baffi e la barba che porti sono quello che sei, ma se non hai il taglio a tazza per il 1400 o la chioma fluente per il celta ce ne faremo una ragione. E così vale per le donne, cercando di far capire che no, il fucsia non era un colore di capelli accettabile per qualsiasi periodo storico precedente al 1970, ma se ti metti una cuffia o un velo non lo noterà nessuno.
- che i tatuaggi che porti raccontano chi sei e quindi cosa ti ha portato anche a raccontare la storia agli altri. Sarebbe meglio coprirli, ma se la copertura risulta risibile e grottesca, mostrali e fallo diventare un momento didattico, visto che la storia è anche la storia dei tatuaggi.
- che la tua fisicità (magro, grasso, alto e basso) non ti deve impedire a ricoprire qualsiasi ruolo tu voglia, purché tu lo faccia al tuo meglio. Ovvio che ci sono persone che risultano più credibili e più affascinanti nei panni che indossano, ma tu nei tuoi panni starai sempre bene quando ti diverti.
- che se il tuo fisico ti chiede riposo perché le condizioni della rievocazioni sono impervie (troppo caldo, orario assurdo per programma fatto da poltronisti, pioggia battente e freddo), al tuo fisico lo devi concedere, ma se lo fai perché ubriacarti è il tuo modo di fare rievocazione mi sa che hai sbagliato qualcosa.
la stanchezza dei templari
la stanchezza dei templari
E poi gli esempi potrebbero sprecarsi e ognuno di voi potrebbe citarne mille, ma io mi chiedo se veramente vediate quel corpo moderno nella persona che è il rievocatore che avete di fronte mentre vi fa didattica, fa sperimentazione, ci mette anima cervello e cuore a raccontarvi quello che più ama al mondo. Io credo che tutti voi, spettatori, organizzatori e altri rievocatori, vediate solo la passione, la forza, il coraggio dell'altro e che queste vi facciano fare il vero salto nel tempo. Pensateci e piantatela di essere puntigliosi e rompiscatole col corpo degli altri.
ecco cosa significa raccontare la Storia e avere il pubblico che ascolta
ecco cosa significa raccontare la Storia e avere il pubblico che ascolta

domenica 23 febbraio 2014

Lettera al Ministero della Cultura

Caro Ministero,
Le scrivo questa lettere impersonale perché visto il mutare della politica, dei nomi e dei personaggi è meglio non addentrarci troppo in personalismi e rimanere distaccati.
Le scrivo questa mia lettera per chiederle un solo piccolo favore: obblighi, permetta, costringa i musei, gli archeologi capi, i provveditori o chiunque burocratico segga in qualche seggiolina di rilievo e di passacarte, a pubblicare ogni scoperta archeologica venga fatta sul suolo italiano, dopo previo studio, senza però aspettare che i miei impossibili nipoti diventino nonni.
Le parlo come rievocatrice storica che vorrebbe occuparsi di storia patria medievale (e anche un po' romana) e vorrebbe non dover andare nelle mie amate librerie specialistiche e dover uscire con bellissimi libri stranieri che trattano di reperti ritrovati all'estero e su quelli poi dover ragionare per poter dar vita alla nostra storia, ai nostri particolarismi. Di certo leggere quei libri mi permette di conoscere le lingue straniere molto meglio di quanto la stessa scuola mi abbia insegnato (se mai mi ha insegnato qualcosa, ma lasciamo perdere, vah) e di questo forse dovrei ringraziarvi, ma non si può  ringraziare per aver fatto di necessità virtù.
Vorrei non dover cercare su internet foto di reperti tessili nord europei (per quanto bellissimi) o est europei conservati e studiati e divulgati a più non posso mentre noi, patria della moda, non abbiamo pensato di conservarli i nostri abiti storici e non abbiamo pensato a dare loro una degna protezione. Non solo le condizioni climatiche diverse permettono una conservazione diversa (ovvio che la torba in certi luoghi ha aiutato molto, come l'imbalsamazione), ma la volontà di vedere in quel piccolo ritaglio di stoffa tutta una serie di saperi e conoscenze umane imperdibili.
Vorrei non dover avere uno "spaccio" legale fra rievocatori che sono andati nei musei dove si possono fare foto (perché ricordiamo che in molti musei non si possono fare foto, ma non si hanno nemmeno supporti cartacei da comprare per poter studiare a casa il materiale) per poter cercare di ricostruire quel dettaglio che renderebbe il mio abito, i miei oggetti, la mia cucina unica in confronto a un ideale di storia tutta uguale dalla Svezia al Marocco.
Rivendico, come rievocatrice medievale, il diritto di poter usufruire delle scoperte scientifiche archeologiche che avvengono in questo suolo tanto particolare e unico, riconoscendo che ogni oggetto che si trova sotto il suolo appartiene allo Stato e come tale anche a me e non solo a quei pochi (con diritto o meno) che possono andare impunemente a vedere ogni cosa, parlare di reperti e raccontarsi quanto sia bello quel tal oggetto che hanno ritrovato in quello scavo specifico.
Le chiedo fermamente che la cultura non sia solo fruibile a grandi e piccini attraverso musei moderni e all'avanguardia, ma che sia fruibile a tutti quegli appassionati che uscendo dal museo vogliono e pretendono di saperne di più. Le chiedo che noi, storici archeologi e rievocatori storici che lavoriamo sulla Storia d'Italia dalla preistoria al 1900, possiamo essere supportati dai testi, dalle scoperte e dai rivoluzionari ritrovamenti (perché, diciamocelo, lo sappiamo tutti che negli ultimi anni si sono trovati reperti interessantissimi. Lo sappiamo perché quando siamo diventati rievocatori storici seri o abbiamo portato in tasca una laurea specifica oppure andiamo a braccetto con chi ce l'ha) senza dover impegnare la casa dei nostri padri (perché i testi che io uso hanno un prezzo alto ma accettabile e un linguaggio tecnico comprensibile e non esoterico e senza foto...) e possiamo andare in ogni posto d'Italia e all'estero a raccontare come eravamo. Le chiedo di avere un moto di orgoglio e decida di far pubblicare le scoperte scientifiche perché ancora una volta l'estero debba essere costretto a guardare all'Italia anche nella ricostruzione storica.
Con questa mia gentile lettera, rivendico il diritto da rievocatrice di essere considerata un supporto valido alla divulgazione della cultura del mio paese, perché se in 36 anni della mia vita non siete riusciti a spegnere il fatto che io sia orgogliosa di quello che faccio e di quello che racconto non ci riuscirete nemmeno nel futuro, ma quello che cambia è che io (e spero con me molti rievocatori e storici e archeologici) non potrò accettare passivamente questo atteggiamento e non me ne starò più zitta e ferma.
Sapendo che questa mia lettera forse è già lettera morta nel momento in cui la sto scrivendo, sapendo che in questo nostro momento storico qualcuno disse "con la cultura non si mangia" ma tutti gli hanno dato ragione, sapendo che alla fine la rivoluzione arriverà dal basso e fra noi e non da voi che là vi sentite fuori dal mondo,
sentitamente ringrazio,
Sara Casti
Museo archeologico di Parma

venerdì 7 febbraio 2014

"Il segreto di Kells" di Tomm Moore


Il titolo evoca il meraviglioso manoscritto irlandese The Book of Kells che ho avuto la fortuna di poter vedere a Dublino più di 12 anni fa (e come ci tornerei immediatamente).
Il film che vedrete è il classico caso italico dove un buon prodotto che esce dagli schemi, che parla di Storia e di medioevo in modo corretto ed emozionante, non verrà mai tradotto o distribuito. Nominato agli Oscar come miglior film d'animazione (nell'anno in cui vinse "Up", quindi un bel colosso), una grafica innovativa ed accattivante, un modo di narrare diverso dal solito. Che posso dire, godetevelo, che poi nel caso ne parliamo con calma in un secondo momento (devo ancora guardarlo bene anche io. E allora perché postarlo? Perché così almeno non ci perdiamo il link al film e in ogni momento sappiamo dove reperirlo ;) ).
Esiste anche il fumetto (anzi credo che il fumetto sia la base da cui è tratto il film), quindi ricercatelo. Qui è uno dei link utili: http://renoir.fumetto-online.it/?COLLANA=BRENDAN%20E%20IL%20SEGRETO%20DI%20KELLS . E questo il link su amazon per poterlo ordinare: http://www.amazon.it/product-reviews/8865670282
Qui trovate un'ottima recensione sul film e su tutto il lavoro che c'è dietro ad esso: http://www.nannimagazine.it/articolo/7680/fiuggi-family-festival--il-segreto-di-kells-il-miracolo-dell-animazione
Buona visione.

mercoledì 29 gennaio 2014

"Storie della prima Parma: Etruschi, Galli, Romani. Le origini della città alla luce delle nuove scoperte archeologiche"

Chi mi conosce, sa che faccio le cose all'ultimo minuto. Non lo faccio apposta, mi distraggo, anche se mi segno le cose, anche se voglio assolutamente fare quelle cose. Mi distraggo. Ci provo a cambiare, ma sono fatta così. E anche questa volta ho dimostrato la mia abilità di razza, anche se posso dire che una vena polemica ce la devo mettere lo stesso.

Venerdì scorso, agli sgoccioli, per prendermi una salutare pausa per la schiena dalla tessitura, sono andata al museo archeologico di Parma a vedere la mostra di cui il post prende il titolo.
La mostra doveva finire a giugno, ma visto l'interesse era stata prorogata fino al 26 di gennaio o almeno io me lo ricordavo così (se guardo sui siti internet dedicati alla fine la mostra doveva finire a dicembre. Ma allora io dove ho visto 26 gennaio? Me la ricordo perché era la stessa della mostra di Botero, che invece mi sono persa), quindi quando il 24 mi sono presentata al museo archeologico e mi avvisano che si può vedere ma è in disallestimento. Perfetto: a me interessano i reperti. 

Entrare al museo archeologico di Parma e vedere i reperti spostati è un'allegra novità considerando che per "decreto regio imperiale" (ok, non è vero, ma la mentalità è quella) non si può disporre i reperti in modo più consono e comprensibile per il visitatore, ma bisogna lasciare l'impostazione ottocentesca che creò il museo. Lasciamo perdere questo tipo di polemiche per ora, volete?
Quindi quando mi trovo nella sala che dovrebbe essere delle state del foro di Veleia, mi trovo una nuova installazione con luci, scenografia in legno, teche e un pannello della nostra città con le icone dei vari ritrovamenti. Interessante ed emozionante e devo dire che all'inizio mi sento entusiasta, ma poi mi guardo attorno e non vedo pannelli esplicativi se non in italiano (come al solito snobbiamo gli stranieri), e in un secondo tempo vedo le statue transennate e ammassate in un angolo della sala come se fossero in castigo. Il museo è piccolo, ma ci sono reperti interessanti quindi perché non poter usufruire con lo stesso biglietto della mostra e del museo, visto che non c'è una vera separazione? Perché, da quanto ho capito la cosa non è stata concepita in quel modo e me ne accorgo quando salgo nella sala che di solito è stata dedicata agli etruschi e ai greci: mancano delle teche e dei reperti. Non sono stati spostati altrove, né dislocati diversamente (come altri reperti), quindi sono finiti "in cantina" aspettando di tornare al loro posto. Peccato. Come al solito si pecca di cecità nei nostri musei.

entrata.
Stanza del foro di Veleia.

dettaglio composto della prima sala

Mi rendo conto che le didascalie e spiegazioni (perché sono tutt'uno) sono di facile comprensione, ma non troppo esaurienti. Mi renderò velocemente conto che le mie speranze di una mostra innovativa sono state disattese. Spero che sia solo colpa del fatto che la stessero smontando (mi hanno detto che c'erano video proiettori con immagini molto interessanti).

Nella sala della Tabula Alimentaria di Veleia (spostata all'ingresso, un po' mortificata, ma almeno visibile. Un pezzo che tutti gli appassionati di Roma Antica dovrebbero vedere e conoscere) è stata disposta la sala della vita civile e la riproduzione di uno scavo archeologico. Per quanto ritenga che lo scavo archeologico sia assolutamente interessante e stimolante, forse era troppo in quella sala e se fosse stato ridotto oppure disposto in altra maniera ci sarebbe stato spazio per un'altra teca. Anche perché senza valide spiegazioni su come e dove si fa uno scavo archeologico, poco interessa ai non interessati.

sala dedicata alla vita quotidiana etrusca


riproduzione dello scavo archeologico 

Nella terza sala si entra nel senso del sacro degli antichi etruschi, dei galli e dei romani. E' la parte che mi emoziona sempre tanto e devo dire che per quanto mi sia piaciuta la disposizione, il senso di riverenza per le tombe a dolio è un po' scemata. I reperti ritrovati sono splendidi e ho passato molto tempo, con buona pace del custode che, per non so quale insano regolamento, deve seguire i visitatori praticamente attaccato al sedere (fanno più danno le vibrazioni degli autobus che passano nella strada sottostante che fanno vibrare in modo sconvolgente i vetri delle teche). Tutto è molto distaccato e poco emozionante e se non sai a cosa servono le cose le didascalie ti aiutano a poco.

riproduzione di una sepoltura.
Peccato per l'estintore, ma era impossibile non prenderlo...

spiegazioni

tomba con i reperti

I pantheon non vengono ben divisi e spiegati e nemmeno c'è una chiara divisione di epoche. La sensazione è che tutta questa gente (etruschi, galli e romani ) convivessero di colpo nella città senza colpo ferire e sempre uguali se ne stessero vicini vicini, finché qualcuno è sparito per non si sa quale motivo. Forse avrei dovuto leggere meglio le didascalie? Non credo. Anzi c'è stato un momento che non trovavo le spiegazioni dei reperti e mi sono girata attorno come una scema...
La parte della religione sarebbe stata quella più importante e interessante considerando il fatto che nel greto del torrente Parma sono state trovate una serie di statuine di foggia diversa buttate nell'acqua come offerta votiva: delfini, falli, immagini maschili, pezzi di navi, monete, strani pezzi di cuoio o stoffa (o simulavano, ma erano di altro materiale. Non si capiva bene) inscritti. Sarebbe stato bello e interessante capire come, perché, quando, chi compiva questi riti. 

spiegazioni

ritrovamenti in Piazza Ghiaia

In questa sala finisce la mostra con altri reperti di vita quotidiana, ma che avulsi dal loro uso e significato sembrano solo stupendi oggetti incomprensibili. Non so se fosse stata prevista una guida obbligatoria che spiegasse tutto quello che a me è rimasto vagamente in ombra (e per fortuna che qualcosa ne so e qualcosa i miei amici mi hanno spiegato), non so se mancava qualcosa, ma davvero sono rimasta delusa dalla pochezza didattica della mostra. Le teche erano finalmente all'altezza di un buon museo e le scenografie rendevano tutto più accogliente ed emozionante, ma davvero non c'era una buona comunicazione per il pubblico.








Quindi, per quante possano essere state le mie critiche, alla fine ho passato una interessante mattinata, mi sono goduta il museo da sola (anche se mi sono beccata una scolaresca la cui insegnante credo non abbia avuto la capacità di trasmettere nulla visto che urlava e sgridava sempre), ho potuto fare tutte le foto che volevo e cercare di capire meglio alcuni reperti. Mi sono dedicata una mattinata di cultura, riservandola alla storia della mia città in epoca antica e non potevo esimermi di prendere anche il libro della MUP proprio dedicato alla storia romana di Parma.

Il fascicolo mi è stato dato alla biglietteria del museo ed era legato alla mostra.
Non è il catalogo della mostra che dovrebbe essere in vendita o all'infopoint a fianco al Regio o in libreria.
In alto il librone della bella serie che la MUP sta dedicando alla nostra città.
Avevo già i due volumi sul medioevo e mi sono regalata questo. Me lo merito.

domenica 12 gennaio 2014

Cuscinetto duecentesco: progetto finito

Inizia l'anno e io finalmente porto a termine un progetto e mi sorprendo da sola per come sia venuto bene.
Premetto che non è la riproduzione corretta e precisa di un reperto storico (premessa d'obbligo prima che piovano critiche varie ed eventuali), ma solo la personalizzazione di un reperto. Potrei passare giorni e giorni a difendere e promulgare la personificazione al posto dell'omologazione, ma andremmo fuori tema e perderei il filo del ragionamento.

Torniamo all'oggetto del titolo: in cuscinetto duecentesco.
In questo post del mio blog troverete le spiegazioni di come è nato il progetto e quali sono le sue premesse, mentre nella mia pagina fb potrete trovate tutte le foto che ho fatto (ma molte verranno riproposte qui, quindi non preoccupatevi).
Alla fine della storia, come si suol dire, mi sono data un buon vuoto: 70% di credibilità. Secondo la mia parte più critica sono stata molto buona con me stessa, ma devo dire che vista la partenza abbiamo ben recuperato.
Il voto alto è dovuto sicuramente alla scelta del reperto da copiare.
Gli animali riprodotti sono fedeli a come sembrano in foto, anche se in originale potrebbero aver contenuto molti più elementi di quelli che sono rimasti coi vari restauri.

leopardo, aquila, grifone e due uccelli (forse pavoni o colombi) alla fonte

Ho cercato di mantenere tutti i dettagli visibili e di ragionare su certi particolari per poterli rendere più credibili (per esempio ho cercato di fare anche le unghie al leopardo, ma non tutte perché sembravano esagerate). Mi sono chiesta se fare l'occhio o meno e alla fine ho optato per il no, ma il giro dei fili fa in modo che nella posizione dell'occhio si formi un piccolo vuoto. Mi sono anche chiesta se ci fossero o meno le lingue (il leopardo di solito ce l'ha e il fatto che abbia la bocca aperta mi fa pensare che potesse esserci), ma anche in questo caso, dopo aver guardato più volte il reperto ho optato per lasciare perdere.
La scelta del monocolore blu è, come precedentemente detto, frutto di un fraintendimento iniziale sulla finalità del ricamo, quindi non me la sono sentita di cambiare in corso d'opera. Nel reperto originale pare che ci fosse del filo d'argento (come detto dalla dottoressa Davanzo Poli): o tutto pieno oppure solo nell'interno di alcuni animali contornati poi di blu.

originale.
Notate come in contrapposizione due animali siano sempre contornati di blu mentre gli altri due no.

Non avendo mai ricamato col filo d'argento (e mi chiedo se quello che si trova in merceria insieme al suo compagno d'oro possa andare bene) non saprei nemmeno come sarebbe stata la resa.

I materiali senza ombra di dubbio non sono quelli adatti per la ricostruzione, visto che la tela non è di lino come nel reperto e dubito che i filati fossero di cotone come i miei. Ipotizzo che potessero essere lino o seta, visto che l'immagine riprodotta mi fa pensare a un oggetto di lusso o simbolico.

Anche le dimensioni sono diverse dall'originale.

L'interno poi non è di piume, ma di ovatta di cotone.

Perché queste precisazioni? Perché riprodurre un esatto e particolare reperto prevede tutta una serie di elementi che debbono essere rispettati: materiali, dimensioni e punti usati. Questo è il "protocollo" per la ricostruzione di un preciso oggetto. Io ho riprodotto un oggetto che possibilmente potrebbe essere stato confezionato in quel periodo.

I punti usati sono quelli segnalati: punto croce e punto catenella.
I materiali sono quelli possibili all'epoca: cotone e lino.
La grafica, per quanto non in scala e coi difetti del restauro, è quella che appare in foto.
Ecco perché vi dico che mi ritengo soddisfatta del lavoro. Lavoro che è potuto venire alla luce grazie alla pazienza e bravura di mia mamma che me lo ha confezionato e nel frattempo riempito con l'ovatta. Senza di lei sarebbe rimasto un quadretto o diventato un pessimo cuscino.

Punti usati: punto catenella e punto croce.
Anche qui ho fatto una personalizzazione: visto che il punto croce è la mia "croce" appunto e che non ho mai ricamato con esso senza la tela aida e contando i fili ho preferito fare il contorno con il punto catenella e riempirlo con il punto croce. L'effetto è buono, non so se questa cosa si possa usare, ma se mai imparerò a ricamare contando i fili vedremo di rifarci.
La confezione ha previsto l'ultimo sforzo di precisione da parte mia, soprattutto per dover rimediare al fatto che la tela fosse storta e tagliata un po' così (lezione imparata: non ha senso risparmiare un cm di stoffa da ricamare, che tanto la trovi a 2 euro all'ikea, per poi inveire dopo quando bisogna sistemare il tutto).

siete pregati di non fare commenti sul disordine, ci tenta da una vita mia mamma a farmi ordinata,
ma si vede che non mi ha dato il gene.
Tutto alla fine ha pagato le ore di ricamo, i promemoria per i progetti futuri, i ragionamenti sul "cosa si fa e cosa no" e sono davvero soddisfatta del risultato.





Ora aspetto solo l'occasione giusta per poterlo usare al meglio, anche se, come molti ricami fatti fino ad adesso, mi servirà di certo per fare la didattica sull'araldica e sui bestiari, perché gli oggetti storici si leggono sempre sotto varie lenti di ingrandimento.