lunedì 18 giugno 2012

La mela cotogna

La mela cotogna è una mela strana, una mela che non si mangia prendendola dal ramo della pianta e passeggiando per le campagna, ma bisogna lasciarla maturare e puoi cuocerla per poterne gustare il gusto a pieno.



E' una mela bruttarella e in una società che cerca la frutta che luccica e butta quelle con la buccia rovinata (di solito è anche la più buona), insomma dove l'apparenza supera la sostanza, è passata di moda. Ma come tutte le mode, ritornano ed è un paio di anni che è possibile trovarle anche nei supermercati (non tutti) e non solo ricercarle dai contadini che sono stati lungimiranti.

Nome scientifico: Cydonia oblunga.
Origine: albero delle rosacee di origini asiatiche. Turkestan, Iran settentrionale, Anatolia e sud del Caucaso.
Prima cultura storica: Creta, nel IV millennio a.C.
Diffusione: nel VI secolo a.C. arriva in Sicilia, nel III sec a.C. a Roma.

E da quel momento in poi non solo si diffuse per il mondo occidentale, se ne riconobbero almeno 3 varietà (divise per aspetto), ma si studiarono anche gli effetti sulla salute.

Salto tutto il periodo antico e vi catapulto nel Medioevo, se no qui salta fuori un vero e proprio trattato.

E' innegabile i nostri avi, per quanto noi li riteniamo più ignoranti di noi perché non conoscevano i bacilli o la penicillina o il dna, avevano un occhio più attento nel valutare i cibi e la loro interazione con il corpo umano: essi non erano solo e soltanto forza per il fisico, ma erano un vero e proprio medicinale da usare con attenzione (per la cotogna si parla del suo valore astringente) e in occasioni particolari.

"Convenevoli non solamente a gli ammalati, ma utili e aggradevoli anchora all'uso dei sani [...] è cosa veramente maravigliosa quello che molti affermano, cioè che se le donne gravide mangiano spesse volte le mele cotogne, partoriscono li figlioli industriosi e di segnalato ingegno." Mattioli, 1568.

Certo per noi questa visione prenatale della mela cotogna pare priva di valore scientifico, ma può essere che loro vedessero la sanità nel mangiare cotogne per le gestanti...poi da qui a dire che sviluppino la maruga ce ne vuole (maruga in dialetto parmigiano, credo, è la testa, il cervello)!

Nel Quattrocento, grazie al ricettario di Maestro Martino le ricette si sprecano: dalle minestre speziate, alle torte e pastelli. Insomma non solo conserve o mele ripiene cotte!

COTOGNATA O PASTA DI MELE COTOGNE [1]
Prenez des coigns et les pelez, puis fendez par quartiers, et ostez l'ueil et les pépins, puis les cuisiez en bon vin rouge et puis soient coulés parmi une estamine: pui prenez du miel et le faites longuement boulir et escumer, et après mettez vos coings dedans et remuez très bien, et le faites tant boulir que le miel se reviengne à moins la moitié; puis gettez dedans pouldre d'ypocras, et remuez tant qu'il soit tout froit, puis taillez par morceaulx et les gardez. [2]

Prendere delle cotogne e sbucciatele. Tagliatele poi in quarti e togliete il torsolo e i semi. Mettetele a cuocere in buon vino rosso, quindi passatele alla stamigna. Prendete del miele e fatelo bollire a lungo schiumandolo. Mettetevi dentro le cotogne, rimestate bene e fate bollire finché il miele cali di più della metà. Aggiungete poi un po' di polvere di ippocrasso, rimestate fino a far freddare, tagliate e pezzi e consevate

Dosi per farlo ora:
2 kg cotogne molto mature
1 litro abbondante di vino rosso
1,5 kg miele
1 cucchiaino di polvere ippocrasso (= 8 gr di cannella, 8gr zenzero secco in polvere, 1 pezzetto di galanga secca o di zenzero)

Traduzione: per la stamigna usare un setaccio o un passaverdura.
Si formeranno delle "caramelle" e non una marmellata, quindi da servire su un piatto dopo averle tagliato a losanghe, su un letto di foglie di alloro fresche.
Per il normale consumo si può ricoprirle di zucchero e metterli in pirottini.


Ora vi starete chiedendo perché tutto questo sproloquio sulla mela cotogna. La risposta è semplice: colpa di una chiacchierata su fb con un ragazzo che ha sperimentato la marmellata andando un po' a caso con le dosi e ritrovandosi una roba allappante in modo immangiabile.
Ecco una delle ricette di marmellata che si mangia a casa mia per poter partire per affrontare la mela cotogna e scoprire che no non allappa, ma anzi è dolcina e sul pane buono è una delizia.

MARMELLATA DI MELE COTOGNE [3]
Lavare e asciugare delle mele cotogne (meglio mature).
Metterle intere in una pentola con abbondante acqua (1 dito sotto alle mele) e il succo di 1 limone.
Cuocere per 1 ora (prima di spegnere provare con la forchetta che sia morbida).
Scolare, pelare e togliere torsolo e semi.
Passare la polpa al setaccio.
Pesare la polpa setacciata.
Aggiungere zucchero dello stesso peso della polpa.
Cuocere per 40'.
Versare nei barattoli.
Chiudere i barattoli e rigirarli. Aspettare 10 minuti e poi raddrizzarli. Mettere i barattoli vicini e coprirli con un panno. Aspettare che si raffreddino.

Prendere la marmellata e un coltello. Spalmarla sul pane buono e gustarvi la merenda!
La consistenza non è liquida, anzi è abbastanza solida, ecco perché potreste usare questa ricetta anche per fare le caramelle. Ma non lasciatele all'aria: potrebbero sciogliersi (vi sto scrivendo nel primo lunedì di afa estiva della pianura padana) o sparire nello stomaco dei passanti!

Come vedete le ricette antiche o moderne che siano hanno lo stesso impianto di "prendi un po' quello" "ma quanto?" "un po'!". Quindi quando affrontate una ricetta medievale o anche più antica, pensate che state affrontandone una scritta magari da vostra nonna e non vi sbaglierete sul "un po'" o "un uovo di farina".

Nel caso voleste medievalizzare questa ricetta, per quanto il libro di Carnevale Schianca riporti l'accoppiata cotogne zucchero per il periodo, potete sostituire allo zucchero il miele: scegliete magari un miele dolcino ma non troppo (sulla o millefiori) e non aumentate le dosi ( miele = zucchero = polpa). Nel caso risulti poco dolce (ma non cercatela troppo dolce se no è stomachevole), riprovatela aggiungendo un po' più di miele. Altri mieli aromatici potrebbero rovinare e virare il gusto della cotogna.
Per quanto riguarda l'aggiunta di spezie, anche qui vi consiglio di provarla prima nella versione normale e poi rifarla aggiungendo in proporzione quelle dell'ippocrasso che vi ho messo sopra. Non esagerate, fate una proporzione con il peso, visto che le spezie con il caldo e la cottura aumentano il loro sapore: devono esaltare e non coprire.

Se la provate fatemi sapere come viene!


Bibliografia
per le nozioni storiche varie "La cucina medievale" di Enrico Carnevale Schianca, ed Leo S. Olschki
[1] "A tavola nel Medioevo" di Odile Redon, F. Sabban, Silvano Serventi, edizione Laterza.
[2] trattato "Ménagier de Paris", sempre tratto da "A tavola nel Medioevo".
[3] ricettario della MIA mamma

venerdì 8 giugno 2012

Lievito

Ho una nuova passione e come al solito ho coinvolto mia madre, anzi ho mandato avanti lei, visto le capacità nettamente superiori, la pazienza e il fatto che la cucina sia sua (dai diciamocelo, mamma che leggi il mio blog, la cucina è tua e io ogni tanto mi infiltro. Poi tu sbuffi perché faccio le cose al contrario e secondo te sono casinista e allora sbuffo anche io e...): il lievito madre!

In tanti me ne avevano parlato, guardavi in tv e trovavi mille cuochi e ricette e sentivi l'odore passare attraverso il tubo catodico, insomma era veramente questione di tempo prima di caderci.
Diciamo che io ho uno strano feeling col pane.
Di certo è legato a uno dei ricordi più belli e divertenti di quando andavo dai nonni a Sassocorvaro.
Ogni mattina o quasi passava il fornaio Filanti con il camioncino, suonava il clacson e tu aprivi la porta e compravi il pane lungo la strada. Ah quale meraviglioso profumo inondava tutta la via Crescientini, mischiandosi a quello di casa, anzi di case, della chiesa poco lontano, della gente che passava! E poi io bambina di città rimanevo meravigliata di quella vita semplice, umana, piena di sapore. Per quanto io mi ritenga benedetta da Dio per aver trovato dei vicini splendidi con cui sto condividendo tutta la mia vita, la città è sempre un po' più fredda e allora andare dai nonni (per quanto noioso perché non avevo amici) era stare fuori dal mondo.
Poi una volta in casa, la cucina sapeva di pane caldo e l'unica cosa che volevi era poterlo tagliare, mangiare anche così, fare scarpetta oppure asfaltarlo di Nutella!

Quando Filanti è andato in pensione tutto è sparito. Sparito il camioncino; sparito il profumo; sparito il rito; ma soprattutto sparito il pane buono e i maritozzi di San Vincenzo buoni e morbidi!

Col tempo uno cresce, si rassegna o non ci pensa, ma le cose tornano.
E un giorno in rievocazione mi sono buttata a fare le focaccine da cuocere sulla pietra ollare. Quel giorno scoprì il senso del pane come essere vivo. L'avevo messo a lievitare in tenda cappella e il caldo di Quattrocastella lo aveva fatto trasbordare: pane per tutti gli accampamenti!
La sensazione tattile, il continuare a lievitare fino alla cottura, danno solo un piccolo aspetto dell'emozione che mi diede.

Poi ci fu la macchina del pane e il pane in casa divenne la quotidianità. Che comodità! Quando si torna a casa, magari stanchi e senti nel pianerottolo il profumo...beh un po' di pensieri se ne vanno.

Così è stato inevitabile arrivare al lievito madre.
Siamo agli esperimenti.
Ci sono tante cose da provare.
Tanti meccanismi da capire.
Ma il pane è buono.
E soprattutto quel "lievito di casa" nella ricetta di Filanti per i maritozzi finalmente ha un nome e un sapore. Quest'anno voglio i maritozzi buoni come me li ricordo e ubriacarmi di alkermes!

Ora mentre il "mostro" (=la quantità enorme di lievito madre prodotto la settimana scorsa... Ne volete un po'? ) si riposa in frigo, sotto sta riposando la focaccia per domani per la serata "Summer coming".
Esperimento. Speriamo. Vediamo.
Poi vi dirò.

Ah, logicamente tutto questo impastare mi ha fatto sorgere un sacco di domande sulla panificazione in antichità. Pensavate che non succedesse?