venerdì 21 ottobre 2011

"Ivanhoe" di Walter Scott

Consiglio del mese e della rievocatrice.




Un libro da non perdere nella propria esistenza.
Non fatevi però prendere dalla banalità della critica che relega questo libro all'adolescenza e alla letteratura da svago. Questo libro nasconde uno studio e una conoscenza della Storia più di quanto si possa immaginare.

Però partiamo dai difetti, perché ce ne sono.
Di certo c'è uno sfasamento storico-stilistico della vicenda.
Mi spiego meglio.
La vicenda è ambientata sotto il regno di Giovanni Senza Terra in assenza del legittimo re Riccardo Cuor di Leone e quindi ci troviamo nella fine del XII secolo, eppure la descrizione delle armature, degli abiti e delle situazioni ricorda invece la fine del XIII secolo, se non una metà XIV secolo. Come al solito c'è una totale distanza fra realtà storica e realtà fantastica, che colpisce il 70% degli scrittori di narrativa storica. Se per Scott, il quale visse fra la fine del 1700 e il primo trentennio del 1800,  possiamo soprassedere per impossibilità di comunicazione (che non preveda una medium), per tutti gli autori contemporanei è un avvertimento...
La cosa poi che mi stupisce è che l'autore non fa errori che solo un tecnico potrebbe cogliere.

Ma torniamo alla vicenda.
Il giovane Wilfred di Ivanhoe, sassone di sangue nobile, se ne parte per le crociate a seguire il re, normanno, Riccardo Cuori di Leone, supendo l'ira funesta del padre Cedric e lasciando a languire l'amata Rowena.
Tornato in patria una serie di eventi e di personaggi agiscono attorno a lui, senza che lui davvero possa impedirli, ma solo mostrando il suo onore e valore.

Il nostro eroe agisce un po' come i personaggi dei romanzi del ciclo arturiano (scritti proprio tra il XII e il XIII secolo), dove le avventure cadono ai piedi dei protagonisti che non possono fare a meno che compierle e ricoprirsi di lodi. Ugualmente ai romanzi dell'epoca sono i comprimari e gli avversari a mostrare caratteristiche più interessanti e complete.
Wamba e Gurth sono l'immagine di un popolino sincero e leale, ma da modi gretti a volte.
Cedric è l'emblema di un vecchio sassone legato alle tradizioni del suo passato a cui non vuole rinunciare, ma che sa che lealtà oramai slavate devono cedere il passo ai veri sentimenti e a saldi rapporti.
Locksley è il Robin Hood che ognuno di noi ha imparato ad amare nei film di Errol Flynn e in quelli della Disney, con quel suo fare sul limite delle regole e col sorriso scanzonato sempre sulle labbra. E al suo fianco un robusto e temibile frate Tuck, al posto di Little John (che nel romanzo si dice in missione in Scozia) che ha tutto del frate gaudente, ma niente del bonaccione coccoloso.
L'ebreo Isacco è lo stereotipo dell'ebreo ricco che sempre deve aprile il portafoglio o per accaparrarsi il favore di qualcuno o per riscattare se stesso o i suoi cari. Se però ci fermassimo qua non faremmo giustizia all'autore che sì rende il personaggio pavido per età e per ruolo, ma gli dà una grandezza d'animo che si sublima nella figlia.
Rebecca è il vero personaggio femminile, perché Rowena è solo una figura di donna superiore per qualità e per lignaggio, ma rimane sempre distante e un po' fredda. Invece l'ebrea subisce le offese del destino con coraggio e forza d'animo superiore a tutto e tutti; dimostra una superiorità di intenti e una tolleranza che molto probabilmente era possibile trovare nel Medioevo (non sempre e non ovunque), ma che non so come si dimostrasse alla fine del XVIII secolo.

I due ebrei sono anche storicamente credibili, anche se l'autore ha voluto calcare un po' troppo la mano sull'estetica orientale dei loro costumi. Ci si dimentica infatti che gli ebrei erano integrati nelle società europee da secoli e che ci vollero delle leggi suntuarie apposta per obbligarli ad indossare degli oggetti o dei colori che li distinguessero dai cristiani loro concittadini.

Ora una menzione particolare per il Templare Brian de Bois-Guilbert. In questo personaggio si concentrano tutti i miei dubbi sulle conoscenze storiche dell'autore e alcune mie critiche.
A leggere bene l'autore conosceva o aveva avuto visione della Regola originale del Tempio perchè cita troppo bene alcuni passaggi del testo che gli servono per far sviluppare la vicenda. Questo significa che la documentazione sull'ordine non era così nascosta come ci vogliono far credere i Giacobbo di turno...
D'altro canto descrive dei dettagli che o non fanno parte per nulla dell'originale (per esempio certi vestiti e l'uso del color bianco) oppure fanno parte dei neotemplari che probabilmente aveva conosciuto (si noti nel dettaglio del bastone del Gran Maestro, che noi ben ricordiamo solo nelle riproduzioni ottocentesche).
Quindi? Quanto ne sapeva esattamente e quanto ne aveva sentito per distorsione temporale?
Sul Templare (personaggio sgradevole e fin troppo umano) si abbattono tutte le accuse che vennero imputate al Tempio a momento del processo e quindi assolutamente prematuri nel XII secolo.
Eppure non posso per niente sgridare Scott per la sua descrizione, perché fra le tante lette è la più credibile e vicina all'originale storico.

Il vero difetto del libro è puramente stilistico: l'autore si perde nei dialoghi e nel tono aulico che spesso fa perdere a volte il filo dell'attenzione nel lettore.

Un ultimo consiglio: se siete appassionati di medioevo leggetelo solo dopo aver letto i veri romanzi arturiani; se siete appassionati di avventura lasciatevi prendere e non bloccatevi a certi modi aulici di scrivere; se siete ragazzini lasciatevi conquistare ed entrate nel "sentimento medievale" che vi incuriosirà a tal punto da volerne sapere di più.

Voto: 7

lunedì 3 ottobre 2011

Chiesa Santa Maria in Quartiere (Parma)

Seconda chiesa, anche questa in Oltretorrente.
Avrei voluto mettervi una bella foto di presentazione, ma per fortuna la "Fondazione Cariparma" si è presa l'onere di restaurare l'edificio sacro. Non ho capito se solo i tetti, oppure un restauro totale. Dico per fortuna, perchè negli ultimi anni questa chiesa, frequentata, purtroppo è stata vittima delle interperie (neve, pioggia e ghiaccio che hanno ampliato le crepe) e dei disastri naturali (il terremoto di 3 anni fa ci ha messo lo zampino).
Quindi piena di entusiasmo, in una bella giornata settembrina, mi sono accinta alla mia scoperta.



La chiesa ha visto la posa della sua prima pietra nel 1604 dal vescovo Papirio Picedi, il quale affida luogo e fabbrica ai Terziari Regolari di San Francesco nel 1610.
In poco meno di 15 anni viene terminata.
Il suo nome proviene dal fatto che lì vicino era eretto un quartiere militare. Eppure la chiesa ha poco di militare (eliminando due elementi molto interessanti).
La sua vita travagliata vede chiusure  sia nell' '800 che agli inizi nel '900, ma nel 1938 vi viene celebrato il Congresso Eucaristico Diocesano e da lì in poi è rimasta aperta e utilizzata.

La sua forma ottagonale rivela una cupola centrale affrescata da Pier Antonio Bernabei (1567-1630) con scene del paradiso, mentre gli affreschi in chiaro scuro alla base sono di Gian Maria Conti.



Di questa chiesa mi ha molto colpito l'aspetto "femminile" della scelta degli oggetti con una predominanza visiva della Madre di Dio che sembra mettere in secondo piano Gesù e Dio. La Madonna dietro l'altare, di Mercurio Baiardi, attrae l'intero sguardo del fedele, monopolizzando l'attenzione anche con accorgimenti di architettura (sfasamento di piani che sembrano creare una sorta di palcoscenico per il dipinto) e la statua della Madonna della Salute di T. Bandini, che occupa una delle due cappelle.




Un'altra Madonna allattante il Bambino.
Inizio a notare che nella mia città questo tema è più diffuso di quanto immaginassi.


L'altra cappella è occupata da un altare dedicato a San Ludovico, opera sempre di T. Bandini.
Il santo dovrebbe essere Luigi IX re di Francia. Ammetto che questa discrepanza di nome mi lascia perplessa, ma spiegherebbe la scelta stilistica della sua cappella.
Felice da Mareto nel suo libro "Chiese e conventi di Parma" (che uso per le indicazioni biografiche dei monumenti che sto visitando) chiama il santo proprio Ludovico, ma non aggiunge altro; sia l'iconografia che le indicazione datami dal custode (dopo aver letto un volantino tirato fuori da chissà dove) riferisce a San Luigi dei Francesi.




Questa cappella ci ricorda come Parma sia stata sotto la dominazione francese per molti secoli, che abbia molti dei suoi lemmi dialettali di orgine francese, che in fin dei conti siamo come una piccola colonia francese in terra emiliana. E questo legame spezzato dalla Storia, senza nostalgie o vere recriminazioni, rimane come un ricordo fortissimo nella nostra città, come se da un momento all'altro fosse normale tornare a sentir parlare francese (beh un po' è tornato visto che nella scuola europea ci sono classi piene di bambini francesi, figli di impiegati dell'EFSA) e vivere in una sorta di età dell'oro.

Altra cosa particolare di questa chiesa è la presenza di molti personaggi della storia recente di Parma, da dottori a professori universitari, da benemeriti a pittori e scultori, da fisici a ingegneri.





Ora passiamo all'enorme nota dolente, una nota che mi ha disgustato e fatto fuggire da questa bella chiesa.
E' un mercato!
Non è un modo di dire. All'entrata, ma già in chiesa, sono esposti oggetti per il mercatino dell'usato; nei confessionali stazionano valige piene di abiti e coperte; le lapidi sono coperte da scaffali pieni di libri; i piccoli altari alla Madonna o a una santa (non sono riuscita a capire) sono impediti al culto da altre valige e oggetti che circondano addirittura gli stalli per le candele.
In più la solerte custode ha un tono di voce che impedisce la meditazione e per quanto accolga tutti coloro che portano o vengono a prendere gli oggetti, con solerzia e familiarità, fa sembrare il luogo una casa più che una chiesa.
Per non parlare che in quel momento colui che si occupava delle pulizie parlava tranquillamente al cellulare, spolverando le statue e gli ex voto.




Ora che bisogna dire?
Che avrei dovuto rispondere alla solerte custode che voleva sapere quale scopo facessi le foto (se per lavoro o per me) che non ero io il problema! Che era quello scempio il vero problema in quella chiesa! Che l'abuso di immagine non stava nelle mie foto pubblicate, ma per sporcare un luogo sacro! Perché fin tanto che quella chiesa sarà usata come luogo di culto essa è un luogo sacro e in tale posto non ci deve essere né mercanzia né cose simili!
Mi sono sentita offesa...

Io rispetto tutte quelle parrocchie che faticano, che fanno cene, feste, pesche di beneficienza per poter restaurare o costruire i luoghi di culto. La mia chiesa è stata edificata con questa fatica, ma mai il suo altare è stato invaso da cose non consone, anche quando era un prefabbricato. Quel prefabbricato, ora diventato luogo di aggregazione nella mia parrocchia, aveva un'aura di santità maggiore di questa chiesa barocca così abusata.

Il mio sdegno è totale.
E non voglio stare in silenzio.
E non voglio che nemmeno voi stiate in silenzio.
Se mai la visiterete pretendete rispetto sia che siate credenti o meno; sia che siate acculturati o meno; sia che siate fotografi o semplici turisti.
Quella chiesa merita rispetto che ora non ha.