mercoledì 14 dicembre 2011

Le pubblicità che non sanno che la porpora sa di...

Sono teledipendente. Lo sono da una vita.
Ho un rapporto contrastante con la pubblicità. A volte vi rimango affascinata per le trovate, per l'uso delle musiche, per i contrasti; raramente me ne innamoro; spesso le salto.
Invece questo spot mi ha solo fatto venire in mente quanto sia facile dimenticare le nozioni anche più curiose che si insegnano a scuola.
Fermatevi al primo secondo e leggete bene cosa c'è scritto: "che sapore ha il rosso porpora?" A fianco noterete un pomodoro che con il suo rosso intenso è il leitmotiv per tutto lo spot.
Peccato che il porpora non possa assomigliare minimamente al pomodoro come sapore, perché in un certo qual modo il porpora può avere un gusto, essendo un colore naturale estratto da un mollusco.

La porpora si estrae dal murice comune o Haustellum brandaris.



Ci racconta Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia, IX, 60-61

« Le porpore vivono al massimo sette anni. Si nascondono, come i murici, all'inizio della canicola per trenta giorni. In inverno si riuniscono e, sfregandosi tra di loro emettono un particolare umore mucoso. Nella stessa maniera fanno i murici. Ma le porpore hanno in mezzo alla bocca quel fiore ricercato per tingere le vesti. Qui si trova una candida vena con pochissimo liquido, da cui nasce quel prezioso colore di rosa che tende al nero e risplende. Il resto del corpo non serve a niente. Si cerca di catturarle vive, perché gettano fuori questo succo insieme alla vita. E si estrae dalle porpore più grandi dopo che viene tolta la conchiglia, mentre le più piccole vengono frantumate vive con la mola, in modo da fargli espellere quel liquido.
Il migliore dell'Asia è quello di Tiro; di Gerba quello dell'Africa, e sulla spiaggia del mare di Getulia; in Laconia quello d'Europa. Di questo sono ornati i fasci e le scuri Romane, e sempre questo dà maestà alla giovinezza. Distingue il senatore dal cavaliere; è utilizzato per placare gli dei, e fa risplendere ogni veste: nei trionfi è mescolato all'oro. Per questo sia scusata la follia della porpora. Ma da dove provengono i prezzi delle conchiglie, che hanno cattivo odore nel sugo, un colore grigiastro austero e simile al mare in tempesta?
La lingua della porpora è lunga quanto un dito e con essa si nutre forando le altre conchiglie: tanta è la durezza dell'aculeo. E si uccidono con l'acqua dolce, e perciò si immergono in un fiume: altrimenti una volta prese, vivono cinquanta giorni con la loro saliva. Tutte le conchiglie crescono molto rapidamente, e specialmente le porpore: raggiungono le loro dimensioni in un anno. Vi sono due tipi di conchiglie che producono il colore detto porpora e quello detto conchilio (la materia è la stessa, ma diversa la combinazione). La conchiglia più piccola è il buccino, così detta per la sua somiglianza alla tromba, con cui si suona: e da qui l'origine del nome, per la rotondità della bocca, incisa nel margine. L'altra è chiamata porpora, ha un rostro sporgente a forma di cunicolo e un'apertura laterale. In più ha spine simili a chiodi fino all'apice della spira, con circa sette aculei per giro, che non ci sono invece nel buccino: ma entrambi hanno tanti giri quanti sono i loro anni. Il buccino aderisce ad alcune pietre e si raccoglie fra gli scogli.
Le porpore vengono chiamate anche pelagie. Ce ne sono molti tipi, che si diversificano per l'alimentazione e per il substrato dove si trovano. La lutense si nutre di fango mentre la algense di alghe, entrambe sono di scarsissimo valore: migliore è la teniense, che si raccoglie negli scogli; ma anche questa è troppo leggera e liquida; la calcolense prende il nome dai sassi del mare, incredibilmente adatta alle conchiglie in genere e soprattutto per le porpore; la dialutense si chiama così perché si nutre in substrati di vario genere. Le porpore si prendono con strumenti simili a nasse, piccoli e con maglie larghe, gettati in profondità. Essi contengono come esca delle conchiglie chiuse e robuste, come i mitili: queste, mezze morte, ma ritornate in mare, rivivono aprendosi rapidamente e richiamano le porpore, che le penetrano con le loro lingue distese; ma quelle, stimolate dall'aculeo, si chiudono e stringono le lingue: così le porpore vengono tenute penzolanti per la loro avidità.»

Da questo animale gli antichi estrassero il colore per eccellenza, quel porpora che inizio a significare regalità, lusso, potere.
Non è come si crede un rosso, ma un violaceo.


Manlio Brusantin nel suo libro "Storia dei colori" ci fa comprendere il perché fosse la porpora un pigmento molto costoso. Prima di tutti bisognava fare una vera strage di murici per averne una quantità buona per la tintura; poi gli effetti tintori si ottenevano solo dopo prolungati e particolari lavaggi e bolliture delle pezze di lana e in seguito l'esposizione all'aria mattutina del mare sulle spiagge di Tiro. L'ambiente è fondamentale come ossidante e fissativo (elemento che nella storia ritorna altre volte per la tintura di altri colori, tipo il bianco).
Nei secoli verrà poi sostituito dalla robbia o dalla garanza, rimanendo comunque il termine di paragone per il valore dei tessuti.


Ci vuole esperienza per catturare i murici, per sapere quando è meglio fermarsi (avranno fatto un fermo pesca a quel tempo?); ce ne vuole per estrarre il pigmento e per trasformarlo in tintura; ce ne vuole per far sì che il colore non cambiasse col tempo atmosferico, col tempo che passa e con i lavaggi, cioè che non stingesse. Credete che sia facile? Un gran lavoro che ne giustificava il valore.


Tornando al nostro distratto sceneggiatore pubblicitario gli possiamo ricordare che:
1. se la porpora ha un gusto forse assomiglia di più al gamberetto che al pomodoro;
2. se la porpora ha un colore (e credetemi ce l'ha) assomiglia di più a una melanzana che a un pomodoro;
3. se la porpora ha una patria non è l'America del pomodoro, ma i lidi mediterranei del Libano;
4. se la porpora ha un popolo non è quello di oltre le Colonne d'Ercole, ma quello fantastico, un po' sconosciuto, geniale dei Fenici che forse le Colonne d'Ercole le hanno anche attraversate.

E soprattutto che se vuoi fare bene una cosa anche wikipedia può essere utile per non farti fare delle gaffes del genere.


Alla prossima per altri colori!

martedì 15 novembre 2011

Mostre: Le grandi vie della civiltà (Trento)

Domenica si è chiusa questa mostra. Oserei dire che è stato un peccato che sia durata così poco (appena 4 mesi e mezzo). Io sono riuscita ad andarci sabato, ritagliandomi tempo e denaro e usandola come scusa per passare a prendere amica e poi passare il fine settimana con gli amici.

La mostra era allestita nel meraviglioso castello del Buonconsiglio di Trento, fortezza del XIII secolo rimaneggiata nei secoli, ma che si staglia imperiosa e meravigliosa in una cittadina che conserva molto del suo passato medievale (per decisione dei due componenti della spedizione, io e la hobbit, abbiamo evitato il più possibile la visita della città, rimandandola a data non troppo da destinarsi, magari anche sotto Natale, con gli altri amici, per una bella gitarella spensierata).




Fra le stanze e i piani del castello la mostra si dipana, purtroppo senza una buona segnaletica, per cui quasi subito ci siamo perse, colpa anche della meraviglia del castello che ci ha costrette a guardarci attorno e a entrare in tutte le stanze dove fosse possibile farlo. Anche perché, devo dirlo con enorme piacere, il prezzo del biglietto, comprensivo di mostra e castello, era solo di 8 €.
Ora soffermiamoci un attimo su questa cosa, perché è rara. Quando mai una mostra con così tanti pezzi, che si estende per molte sale, con teche a temperatura controllata, è costata così poco? Quando mai un biglietto singolo per due visite? A me non era mai capitato. Trento è una città civile.

Altro aspetto che mi ha fatto innamorare della gestione della mostra è stato il fatto che si potessero fare foto. Non fare foto al solo castello, ma anche a tutti i reperti esposti! L'unica accortezza era non usare il flash.
Che meraviglia!
Che liberalità!
Finalmente un venirsi incontro, anche a coloro che non possono permettersi il catalogo (costo €60. Ci stanno tutti, visto la mole, sui 600 pagine, vista la carta patinata, ma di questi tempi non sempre è possibile comprarlo), ma o vogliono avere un ricordo o vogliono poter studiare quel reperto che hanno visto e di cui necessitano per le ricerche e ricostruzioni.

Altro aspetto positivo è la gentilezza e la cordialità dei custodi i quali monitorano ogni visitatore, ma non lesinano le informazioni richieste e a volte scambiano anche qualche cordiale chiacchiera. Alla fine un atteggiamento civile e socievole è un bene raro che fa ben piacere trovare.

Questa statua di figura femminile è l'emblema della mostra.

Reperto da Pomezia (Roma), Santuario orientale di Minerva
terracotta
metà V secolo a.C.

A furia di guardare reperti e fare foto devo ammettere che mi è sfuggito il vero senso di questa mostra.
Lo spazio temporale e spaziale che ricopre è vasto e lungo.


Navicella nuragica,
da Bultei (Sassari), località Is Argiolas
bronzo
VIII secolo a.C


Erma con ritratto
da Aulio (Trento)
III secolo d.C.

La scelta dei reperti si spande in tutta la società umana sia civile, maschile e femminile, che quella militare.

Collare
da Waltershausen, Markt Saal an der Saale (Germania)
bronzo e corallo
III sec. a.C.


panoplia da un corredo funebre di ispirazione greca
da Conversano (Bari)
bronzo laminato
fine IV sec. a.C.

Molti reperti giungono da ritrovamenti in corredi funebri.
Si spazia anche nelle popolazioni.

corredo funebre di guerriero celta
da Hallstatt (Austria) tomba 994
V sec. a.C.


La vita quotidiana viene palesata nella sua tecnica, nell'artigianato, nella sua praticità, nel suo senso artistico.



da corredo funebre femminile
Matelica (Macerata)
ultimo quarto VII sec a.C.

statuetta a forma di cavallo con ruote
da Podzemelj (Slovenia)
terracotta
VIII-VII sec. a.C.



dee madri o veneri neolitiche
di varie epoche e luoghi.


bracciale
da Porto Torres (Sassari)
oro
seconda metà del III sec. d.C.

E tante altre foto sarebbero da mettere, ma non c'è spazio per un catalogo in questo blog.
Spero di poterle utilizzare in altri argomenti, visto che c'era di tutto dai gioielli agli attrezzi, alle armi e agli strumenti di tessitura, per non parlare di un reperto tessile celta.

Una mostra che è valso andare a vedere in tutti i suoi aspetti e luoghi.


mercoledì 9 novembre 2011

"Cuore di ferro" di Alfredo Colitto

Lo Sconsiglio di lettura


Purtroppo col tempo faccio fatica a leggere romanzi storici, di qualunque genere appartengano, perché sono puntigliosa e cerco la verosimiglianza.
Magari mi lascio prendere da epoche storiche che non conosco o che conosco poco, proprio per non fare la maestrina, ma questa volta mi sono fatta consigliare da una lettrice conosciuta su aNobii
Bisogna ogni tanto lasciare fuori dalla testa i pregiudizi e le proprie chiusure e fidarsi.
Diciamo che ho apprezzato maggiormente la buona fede del consiglio che la lettura del libro.

Non mi è piaciuto perché, pur avendo intenzione di ambientarlo in una città e in un periodo ben preciso (Bologna agli inizi del 1300), non caratterizza nulla e come al solito descrive il "medioevo" che non vuol dire nulla in fin dei conti.
Se uno è nato o vissuto a Bologna riconoscerà nelle citazioni di luoghi e chiese i posti e con la fantasia potrà ricostruirseli, ma chi come me ha vissuto poco la città (solo quando andavo a trovare i nonni e in periferia e da bambina) non può capirne esattamente la morfologia. Citare nomi di palazzi a caso non aiuta il lettore ignorante.
Lasciamo stare i soliti (che noia!) errori sugli abiti...Se si vuole ambientare un libro in un periodo specifico ci si documenti (ci sono tantissimi libri sui costumi storici, anche senza dover leggere tomi e saggi) e si segua la descrizione degli abiti, non ci si lascia andare a descrizioni pseudo storiche e un po' fantasy così si può permettere ai propri protagonisti di fare qualunque cosa! Cosa sono i corpetti di cuoio per le guardie? E quelle delle dame? Non esistono nel 1300...come tanti altri dettagli.

Va bene, è colpa mia, sono pignola e guardo al dettaglio. Lo so.

Ma che assoluta la noia di leggere le solite, trite e ritrite storie sui templari!!!
Giacobbo docet.
Nominare i templari in un romanzo attira.
E' la migliore pubblicità per qualsiasi trama. Dan Brown ne è il capostipite. 
Io non ne posso più.
Se si leggono gli atti del processo ai templari (tradotti e ristampati da case editrici valide tipo Edizione Penne e Papiri ) si possono trovare agganci ben più interessanti e storicamente validi per accusare l'ordine di qualsiasi nefandezza, ma basarsi ancora su teorie che non hanno valore è noia.

La scelta poi di usare l'alchimia realizzata come arma del delitto è scelta personale che nell'economia del libro risulta credibile, nell'economia della mia lettura ininfluente visto che già il resto era poco credibile.
Nei ringraziamenti l'autore cita un professore universitario di Bologna (scusate non ricordo il nome, perché non me lo sono segnato) come controllore della verosimiglianza storica: mi piacerebbe sentire anche il suo parere.

Ah, la vicenda. Beh il giallo è bel strutturato e gira bene (logico, nessuna forzatura per arrivare al colpevole), ma per me purtroppo è rimasto in quarta fila come le comparse nelle operette a teatro.
La scrittura è scorrevole e piacevole.

Voto: 4-

venerdì 4 novembre 2011

Un compleanno lontano

Il compleanno di cui si parla è quello di questo blog.
Un anno fa, bloccata da un terribile raffreddore, saltai per l'ennesima volta la visita a Lucca Comics & Games e per dare una botta di vita a un fine settimana solitario e lungo iniziai questa avventura.
In un anno più che cose accadute oserei dire che confusione si è aggiunta a confusione e nella mia testa frullano idee che fanno fatica a uscire concrete. Eppure...qualcosa si muove.

Ora quest'anno non ho voluto non festeggiare il compleanno del blog per snobbismo, ma solo perchè dopo 4 anni finalmente sono riuscita ad andare a Lucca.

Adesso facciamo outing.
Perché il mondo della rievocazione è vario ed eventuale: riunisce persone di ceti, idee politiche, religioni, esperienze diverse. Una parte arriva alla spada vera passando dal gioco di ruolo da tavolo e/o dal vivo.
Insomma una parte di questi seri rievocatori, che si autoanalizzano, che fanno le pulci a tutto, che passano tempo e denaro fra mostre e monumenti, in realtà è un nerd fatto e finito.
Io faccio parte di quella categoria, vantandomi di aver passato più tempo dietro al fantasy che alla vita normale. Anzi, avendo iniziato il tutto a 13 anni, non ho mai avuto tempo per pensare a una vita normale, banale, quella che fanno tutti (le stesse letture, le stesse passioni, il Grande Fratello).
Forse essere un nerd fantasy, trovarmi meglio in una sotto cultura (come la definiscono i benpensanti che mai hanno avuto un pensiero loro) che in quella massificata, mi ha portato a credere che questa mia scelta di vita rievocativa sia l'unica che vale la pena percorrere.

Lucca una città storica meravigliosa, dai monumenti che incantano, da 28 anni (credo) si lascia trascinare a tal punto da essere diventata quest'anno la terza fiera al mondo del settore. Va mo là! Alla faccia di tutti i giornali e telegiornali, troppo snob, che se ne sono bellamente disinteressati.



Spiace pensare che 155.000 persone (e credetemi non mi sono sbagliata a scrivere) pacifiche, che non si rifanno a ideologie particolari, che non tirano san pietrini o estintori, non facciano rumore. Eppure...quanti bambini accompagnati dai genitori hanno avuto tempo di capire che il mondo può essere divertente e vissuto con la fantasia! Sono il futuro per la "nerditudine", ma anche per l'umanità normale, perchè saranno persone che non avarnno paura di sognare e di farlo in grande, ma anche di mascherarsi per finta, perché le maschere vere fanno davvero più paura.

Il bambino credo che fosse figlio di uno del gruppo di stempunk a cui la ragazza apparteneva.






Seconda Fondazione in versione demoni per questa Lucca.
Bellissimi tutti quanti!

Ho passato 4 giorni di stacco dal mondo, di rilassamento, sentendomi a casa, anche se dietro a uno stand per la mia associazione di gioco di ruolo dal vivo Seconda Fondazione, anche se dopo 2 giorni, 2 murder party in salsa medieval fantasy, avevo la voce di un trans, anche se sarebbe stato più facile volare che camminare per le strade per raggiungere qualsiasi posto della città.

Chi non capisce Lucca Comics e il suo mondo ha solo paura di guardare al di là del proprio naso e mi spiace per lui. Io ho rischiato tanti anni fa e non me ne pento.
Anzi devo proprio passare da Feltrinelli a prendermi una saga fantasy che non ho completato il secolo scorso!

Post Scriptum: il rievocatore non smette mai di esserlo e quando camminavo non ho potuto fare a meno di notare i palazzi medievali della città e le tante chicche che si nascondono ai nerd che non sanno...






Bella la commistione fra modernissimo e antico: il Japan Palace è in un palazzo antico (scusate ma nella confusione non ho capito quale fosse) della città. Anime, cultura nipponica e Occidente.


venerdì 21 ottobre 2011

"Ivanhoe" di Walter Scott

Consiglio del mese e della rievocatrice.




Un libro da non perdere nella propria esistenza.
Non fatevi però prendere dalla banalità della critica che relega questo libro all'adolescenza e alla letteratura da svago. Questo libro nasconde uno studio e una conoscenza della Storia più di quanto si possa immaginare.

Però partiamo dai difetti, perché ce ne sono.
Di certo c'è uno sfasamento storico-stilistico della vicenda.
Mi spiego meglio.
La vicenda è ambientata sotto il regno di Giovanni Senza Terra in assenza del legittimo re Riccardo Cuor di Leone e quindi ci troviamo nella fine del XII secolo, eppure la descrizione delle armature, degli abiti e delle situazioni ricorda invece la fine del XIII secolo, se non una metà XIV secolo. Come al solito c'è una totale distanza fra realtà storica e realtà fantastica, che colpisce il 70% degli scrittori di narrativa storica. Se per Scott, il quale visse fra la fine del 1700 e il primo trentennio del 1800,  possiamo soprassedere per impossibilità di comunicazione (che non preveda una medium), per tutti gli autori contemporanei è un avvertimento...
La cosa poi che mi stupisce è che l'autore non fa errori che solo un tecnico potrebbe cogliere.

Ma torniamo alla vicenda.
Il giovane Wilfred di Ivanhoe, sassone di sangue nobile, se ne parte per le crociate a seguire il re, normanno, Riccardo Cuori di Leone, supendo l'ira funesta del padre Cedric e lasciando a languire l'amata Rowena.
Tornato in patria una serie di eventi e di personaggi agiscono attorno a lui, senza che lui davvero possa impedirli, ma solo mostrando il suo onore e valore.

Il nostro eroe agisce un po' come i personaggi dei romanzi del ciclo arturiano (scritti proprio tra il XII e il XIII secolo), dove le avventure cadono ai piedi dei protagonisti che non possono fare a meno che compierle e ricoprirsi di lodi. Ugualmente ai romanzi dell'epoca sono i comprimari e gli avversari a mostrare caratteristiche più interessanti e complete.
Wamba e Gurth sono l'immagine di un popolino sincero e leale, ma da modi gretti a volte.
Cedric è l'emblema di un vecchio sassone legato alle tradizioni del suo passato a cui non vuole rinunciare, ma che sa che lealtà oramai slavate devono cedere il passo ai veri sentimenti e a saldi rapporti.
Locksley è il Robin Hood che ognuno di noi ha imparato ad amare nei film di Errol Flynn e in quelli della Disney, con quel suo fare sul limite delle regole e col sorriso scanzonato sempre sulle labbra. E al suo fianco un robusto e temibile frate Tuck, al posto di Little John (che nel romanzo si dice in missione in Scozia) che ha tutto del frate gaudente, ma niente del bonaccione coccoloso.
L'ebreo Isacco è lo stereotipo dell'ebreo ricco che sempre deve aprile il portafoglio o per accaparrarsi il favore di qualcuno o per riscattare se stesso o i suoi cari. Se però ci fermassimo qua non faremmo giustizia all'autore che sì rende il personaggio pavido per età e per ruolo, ma gli dà una grandezza d'animo che si sublima nella figlia.
Rebecca è il vero personaggio femminile, perché Rowena è solo una figura di donna superiore per qualità e per lignaggio, ma rimane sempre distante e un po' fredda. Invece l'ebrea subisce le offese del destino con coraggio e forza d'animo superiore a tutto e tutti; dimostra una superiorità di intenti e una tolleranza che molto probabilmente era possibile trovare nel Medioevo (non sempre e non ovunque), ma che non so come si dimostrasse alla fine del XVIII secolo.

I due ebrei sono anche storicamente credibili, anche se l'autore ha voluto calcare un po' troppo la mano sull'estetica orientale dei loro costumi. Ci si dimentica infatti che gli ebrei erano integrati nelle società europee da secoli e che ci vollero delle leggi suntuarie apposta per obbligarli ad indossare degli oggetti o dei colori che li distinguessero dai cristiani loro concittadini.

Ora una menzione particolare per il Templare Brian de Bois-Guilbert. In questo personaggio si concentrano tutti i miei dubbi sulle conoscenze storiche dell'autore e alcune mie critiche.
A leggere bene l'autore conosceva o aveva avuto visione della Regola originale del Tempio perchè cita troppo bene alcuni passaggi del testo che gli servono per far sviluppare la vicenda. Questo significa che la documentazione sull'ordine non era così nascosta come ci vogliono far credere i Giacobbo di turno...
D'altro canto descrive dei dettagli che o non fanno parte per nulla dell'originale (per esempio certi vestiti e l'uso del color bianco) oppure fanno parte dei neotemplari che probabilmente aveva conosciuto (si noti nel dettaglio del bastone del Gran Maestro, che noi ben ricordiamo solo nelle riproduzioni ottocentesche).
Quindi? Quanto ne sapeva esattamente e quanto ne aveva sentito per distorsione temporale?
Sul Templare (personaggio sgradevole e fin troppo umano) si abbattono tutte le accuse che vennero imputate al Tempio a momento del processo e quindi assolutamente prematuri nel XII secolo.
Eppure non posso per niente sgridare Scott per la sua descrizione, perché fra le tante lette è la più credibile e vicina all'originale storico.

Il vero difetto del libro è puramente stilistico: l'autore si perde nei dialoghi e nel tono aulico che spesso fa perdere a volte il filo dell'attenzione nel lettore.

Un ultimo consiglio: se siete appassionati di medioevo leggetelo solo dopo aver letto i veri romanzi arturiani; se siete appassionati di avventura lasciatevi prendere e non bloccatevi a certi modi aulici di scrivere; se siete ragazzini lasciatevi conquistare ed entrate nel "sentimento medievale" che vi incuriosirà a tal punto da volerne sapere di più.

Voto: 7

lunedì 3 ottobre 2011

Chiesa Santa Maria in Quartiere (Parma)

Seconda chiesa, anche questa in Oltretorrente.
Avrei voluto mettervi una bella foto di presentazione, ma per fortuna la "Fondazione Cariparma" si è presa l'onere di restaurare l'edificio sacro. Non ho capito se solo i tetti, oppure un restauro totale. Dico per fortuna, perchè negli ultimi anni questa chiesa, frequentata, purtroppo è stata vittima delle interperie (neve, pioggia e ghiaccio che hanno ampliato le crepe) e dei disastri naturali (il terremoto di 3 anni fa ci ha messo lo zampino).
Quindi piena di entusiasmo, in una bella giornata settembrina, mi sono accinta alla mia scoperta.



La chiesa ha visto la posa della sua prima pietra nel 1604 dal vescovo Papirio Picedi, il quale affida luogo e fabbrica ai Terziari Regolari di San Francesco nel 1610.
In poco meno di 15 anni viene terminata.
Il suo nome proviene dal fatto che lì vicino era eretto un quartiere militare. Eppure la chiesa ha poco di militare (eliminando due elementi molto interessanti).
La sua vita travagliata vede chiusure  sia nell' '800 che agli inizi nel '900, ma nel 1938 vi viene celebrato il Congresso Eucaristico Diocesano e da lì in poi è rimasta aperta e utilizzata.

La sua forma ottagonale rivela una cupola centrale affrescata da Pier Antonio Bernabei (1567-1630) con scene del paradiso, mentre gli affreschi in chiaro scuro alla base sono di Gian Maria Conti.



Di questa chiesa mi ha molto colpito l'aspetto "femminile" della scelta degli oggetti con una predominanza visiva della Madre di Dio che sembra mettere in secondo piano Gesù e Dio. La Madonna dietro l'altare, di Mercurio Baiardi, attrae l'intero sguardo del fedele, monopolizzando l'attenzione anche con accorgimenti di architettura (sfasamento di piani che sembrano creare una sorta di palcoscenico per il dipinto) e la statua della Madonna della Salute di T. Bandini, che occupa una delle due cappelle.




Un'altra Madonna allattante il Bambino.
Inizio a notare che nella mia città questo tema è più diffuso di quanto immaginassi.


L'altra cappella è occupata da un altare dedicato a San Ludovico, opera sempre di T. Bandini.
Il santo dovrebbe essere Luigi IX re di Francia. Ammetto che questa discrepanza di nome mi lascia perplessa, ma spiegherebbe la scelta stilistica della sua cappella.
Felice da Mareto nel suo libro "Chiese e conventi di Parma" (che uso per le indicazioni biografiche dei monumenti che sto visitando) chiama il santo proprio Ludovico, ma non aggiunge altro; sia l'iconografia che le indicazione datami dal custode (dopo aver letto un volantino tirato fuori da chissà dove) riferisce a San Luigi dei Francesi.




Questa cappella ci ricorda come Parma sia stata sotto la dominazione francese per molti secoli, che abbia molti dei suoi lemmi dialettali di orgine francese, che in fin dei conti siamo come una piccola colonia francese in terra emiliana. E questo legame spezzato dalla Storia, senza nostalgie o vere recriminazioni, rimane come un ricordo fortissimo nella nostra città, come se da un momento all'altro fosse normale tornare a sentir parlare francese (beh un po' è tornato visto che nella scuola europea ci sono classi piene di bambini francesi, figli di impiegati dell'EFSA) e vivere in una sorta di età dell'oro.

Altra cosa particolare di questa chiesa è la presenza di molti personaggi della storia recente di Parma, da dottori a professori universitari, da benemeriti a pittori e scultori, da fisici a ingegneri.





Ora passiamo all'enorme nota dolente, una nota che mi ha disgustato e fatto fuggire da questa bella chiesa.
E' un mercato!
Non è un modo di dire. All'entrata, ma già in chiesa, sono esposti oggetti per il mercatino dell'usato; nei confessionali stazionano valige piene di abiti e coperte; le lapidi sono coperte da scaffali pieni di libri; i piccoli altari alla Madonna o a una santa (non sono riuscita a capire) sono impediti al culto da altre valige e oggetti che circondano addirittura gli stalli per le candele.
In più la solerte custode ha un tono di voce che impedisce la meditazione e per quanto accolga tutti coloro che portano o vengono a prendere gli oggetti, con solerzia e familiarità, fa sembrare il luogo una casa più che una chiesa.
Per non parlare che in quel momento colui che si occupava delle pulizie parlava tranquillamente al cellulare, spolverando le statue e gli ex voto.




Ora che bisogna dire?
Che avrei dovuto rispondere alla solerte custode che voleva sapere quale scopo facessi le foto (se per lavoro o per me) che non ero io il problema! Che era quello scempio il vero problema in quella chiesa! Che l'abuso di immagine non stava nelle mie foto pubblicate, ma per sporcare un luogo sacro! Perché fin tanto che quella chiesa sarà usata come luogo di culto essa è un luogo sacro e in tale posto non ci deve essere né mercanzia né cose simili!
Mi sono sentita offesa...

Io rispetto tutte quelle parrocchie che faticano, che fanno cene, feste, pesche di beneficienza per poter restaurare o costruire i luoghi di culto. La mia chiesa è stata edificata con questa fatica, ma mai il suo altare è stato invaso da cose non consone, anche quando era un prefabbricato. Quel prefabbricato, ora diventato luogo di aggregazione nella mia parrocchia, aveva un'aura di santità maggiore di questa chiesa barocca così abusata.

Il mio sdegno è totale.
E non voglio stare in silenzio.
E non voglio che nemmeno voi stiate in silenzio.
Se mai la visiterete pretendete rispetto sia che siate credenti o meno; sia che siate acculturati o meno; sia che siate fotografi o semplici turisti.
Quella chiesa merita rispetto che ora non ha.



mercoledì 21 settembre 2011

Chiesa di Santa Croce (Parma)

Con questo post inizia una serie di mie incursioni sulla mia amata città. Da oggi spero di poter documentare al meglio la situazione dei monumenti di Parma, cercando di farvi conoscere la loro storia e anche il loro stato attuale.
Non ci sarà una logica nella scelta di monumenti e musei. Diciamo che mi lascio prendere dall'ispirazione e dalla mia bicicletta.

Altra avvertenza: aspettatevi che mi soffermi su quello che è rimasto di medievale e soprattutto di 1200. Mi sa che scoprirò anche io delle bellezze.

Prima chiesa : Santa Croce.



Deve il suo nome al fatto che durante la sua consacrazione nel 21 agosto 1222 il vescovo Grazia colloca nell'altare una reliquia del Sacro Legno, insieme ad altre reliquie.
A pensare a Parma mi viene da dire che questa chiesa eretta nel 1210 circa dovesse trovarsi ai limiti estremi nella città (tutt'ora si trova all'inizio del centro partendo dalla zona comunemente chiamata Oltretorrente) durante il medioevo. Molto probabilmente si trovava su una delle strade che portava alla via Francigena (la più importante via di pellegrinaggio che attraversa la nostra zona).

La sua storia poi si perde nel silenzio di una chiesa sempre usata, per poi tornare alla ribalta nel 1415 quando l'architetto Giorgio da Erba le da la forma attuale.
Da quel momento in poi la sua storia vede alternarsi la proprietà all'abate di S. Giovanni Evangelista, alla chiesa di Santa Maria in borgo Traschieri, alla Confraternita di S. Giuseppe e infine alla Congregazione della Carità.
Il 16 settembre 1933 viene eretta parrocchia in sostituzione di S. Maria in borgo Taschieri e in quel momento le viene dato un nuovo restauro.




La chiesa in questi giorni di settembre ci regala luci e ombre molto evocative: si appoggiano su statue e dipinti, lambiscono volti e nascondono mostri, rivelano pietà nascoste e lasciano soprattutto il tempo per la meditazione.
Questa piccola chiesa dall'esterno spoglio e lasciato a se stesso, rivela un interno accogliente anche se purtroppo non curato come dovrebbe. Di certo non è colpa dei fedeli (a qualunque ora sono passata ho sempre trovato qualcuno che pregava) o delle donne che ci badano: purtroppo necessiterebbe una pulizia profonda. Vabbè che anche i ragni sono creature di Dio, ma certe loro ragnatele ricordano dei film horror.
Ma in fin dei conti importa che il luogo di culto sia fruibile e accogliente.
E la cappella del Santissimo Sacramento accoglie il fedele in preghiera con una magnificenza non troppo ingombrante e una luce che si riflette sl legno dorato di ispirazione barocca.



In questa chiesa ci sono almeno due dipinti che mi hanno molto colpito o per la sua rarità del soggetto o per la sua strana impostazione.
Per il primo esempio si tratta di una Madonna allattante il Bambino, un affresco del XV secolo. Spicca per la sua isolata presenza su una parete completamente spoglia, ma anche per essere ben circondata da ex voto. Non ho saputo indagare se questa Madonna viene invocata per particolari grazie, ma spero di scoprirlo presto.


Per il secondo esempio c'è il dipinto "San Lorenzo e San Rocco con la Madonna detta di Campagna". La cosa particolare è proprio la Madonna che è un busto di terracotta del XVI secolo.
Il nome della Madonna viene dal fatto che nei tempi passati veniva invocata per essere preservati dalle alluvioni e piogge eccessive e nel caso portata in processione per la città.


Ma ammetto che ciò che mi ha colpito sin dall'inizio sono i capitelli.
Di certo sono l'elemento più originale della chiesa, anche se il professore Arturo Quintavalle li data nel XII secolo facendoli scolpire da due scultori della bottega della Cattedrale di Parma, guidata dal "Maestro dei Mesi" e di influenza cluniacense.
Non tutti i capitelli sono ben comprensibili e trovano certa spiegazione. Purtroppo questo grande fumetto di pietra ha perso la parola, perdendo con la morte i suoi lettori. Noi rimaniamo silenti e possiamo solo cercare di avventurarci in spiegazioni, anche se mai davvero lo potremo capire.


Due sirene con code biforcute e due serpenti intrecciati che le mordono

Centauro sagittario trattenuto da un uomo nudo e...

...attaccato da animale che lo morde.

Aquile e serpenti a X


Uno dei due grifoni presenti nella chiesa. Entrambi sono solitari e non coinvolti in scene particolari.

Leone con due corpi. Di solito si vede il contrario: due teste e un sol corpo.

La strage degli Innocenti

Uomini carponi. Agli angoli si possono notare delle teste che uniscono gli uomini attorno a tutto il capitello.

Cavaliere. Alla sua destra si possono intravedere due uomini che lottano.
Questo personaggio viene collegato ai racconti che proprio nel XII secolo iniziavano a farsi largo nella società medievali: chanson de geste e romanzi cortesi.


Ecco il primo reportage dei monumenti della mia città. Spero che vi abbia incuriosito ad andarla a visitare.